IL CONTESTO SOCIOCULTURALE
Riassunto
Vengono
discussi i problemi relativi al disagio psichico evidenziati da una ricerca
azione volta a ridurre la dispersione scolastica nelle scuole arabo israeliane.
Oltre alle questioni specifiche relative alle diagnosi di LD e di ADHD, si
pongono problemi più generali relativi al disagio psichico degli adolescenti
nella situazione conflittuale e contraddittoria che caratterizza lo Stato di
Israele.
Abstract
The problems
related to the psychological distress highlighted by an action research aimed
at reducing school dropout in Israeli Arab schools are discussed. In addition
to the specific issues relating to the diagnosis of LD and ADHD, there are more
general problems relating to the psychological distress of adolescents in the
controversial and contradictory situation that characterizes the State of
Israel.
1) Introduzione
Le
osservazioni empiriche sul disagio psichico qui discusse rinviano a una ricerca
azione, finalizzata a ridurre la dispersione e il disagio scolastico, condotta
nelle scuole arabo israeliane di Iksal e Kana in Galilea a partire dal 2009
(con le ultime rilevazioni effettuate nel 2019) su richiesta degli psicologi
dei Centri di psicologia scolastica di queste due cittadine, che avevano
partecipato a un corso di formazione sui gruppi di lavoro [1].
Un ulteriore
obiettivo della ricerca, necessario per il raggiungimento dell’obiettivo
principale, tendeva a cambiare l’attività degli psicologi scolastici
prevalentemente diagnostica, con alcune esperienze di terapie brevi di tipo
cognitivo comportamentale, oltre che burocratica e routinaria. Infatti, nel
corso della ricerca azione si è cercato di orientare l’attività degli psicologi
scolastici verso interventi più propriamente psicosociali, volti a migliorare
il “clima” delle scuole, i rapporti tra insegnati, genitori, allievi;
costituendo dei gruppi di lavoro con il personale scolastico e con i genitori,
tra gli altri con le “madri attive” che hanno partecipato ad alcune specifiche
attività.
Questa
ricerca azione ha assunto come paradigma, adattandolo al particolare contesto
in cui si è svolta, il modello originario della ricerca azione di Lewin
(Lewin,1943; 1944; 1946; 1947); caratterizzato dall’approccio interdisciplinare
e più in particolare dalla interazione tra psicologia sociale e psicologia
clinica. Interazione che nello svolgersi di questa ricerca si è realizzata in
primo luogo nella metodologia con la conduzione di interviste o colloqui semi
direttivi individuali e di gruppo condotti da e con tutti coloro che hanno
partecipato alla ricerca; colloqui che hanno riguardato il personale scolastico
intervistato dagli psicologi scolastici, le autorità locali, i testimoni
privilegiati intervistati dal coordinatore della ricerca. Il materiale discorsivo
così rilevato è stato analizzato con metodologie qualitative basate sulla
analisi di contenuto (Ghiglione e Blanchet, 1991) e sull’utilizzo di software
come T - LAB (Lancia, 2004).
2.
Problemi relativi al disagio psichico emergenti dalla ricerca
La
dispersione scolastica e il disagio psichico sono in un rapporto bidirezionale
in quanto la prima può essere causata da difficoltà di apprendimento, di
adattamento o da altri disturbi e nello stesso tempo può causare disadattamento
e devianza. Nel contesto qui considerato come ha osservato il sindaco di Iksal
intervistato nel 2019: “La dispersione scolastica resta la causa
principale di devianza giovanile che, per gli episodi di violenza che causa, è
diventata un fenomeno sempre più grave”. Come osserva il direttore del Centro
di Psicologia Scolastica di Iksal, e come hanno confermato le poche interviste
che siamo riusciti a condurre con chi ha abbandonato definitivamente la scuola,
i ragazzi possono scegliere di abbandonare in quanto si sentono dei “falliti”
non riuscendo a soddisfare le aspettative di insegnati e genitori, attratti da
lavori precari e dalla strada dove si sentono almeno momentaneamente degli
“eroi”. Alcune ragazze hanno abbandonato la scuola spinte a farlo dal fratello
o dal padre che vedono nella scuola e nel suo ambiente un pericolo [2].
In Israele
questi problemi assumono una particolare gravità. Il disagio psichico che si
manifesta nelle scuole arabo israeliane, come più in genere nella popolazione
araba, può essere capito nel contesto della situazione conflittuale, continua
con i suoi periodi di latenza, che caratterizza questo Paese dalla sua nascita
nel 1948. Questo provoca una violenza diffusa che si manifesta anche, se non
soprattutto, tra i giovani e quindi nelle scuole dove, come hanno osservato gli
insegnanti, “già a partire dalle medie si formano delle vere e proprie
gang”. In questo contesto, ad avviso degli psicologi scolastici, “il bullismo,
se così si può definire, è un fenomeno che si disperde e diffonde nella
violenza generalizzata”. Si pone quindi nelle scuole il problema di contenere
l’aggressività e di intervenire sui traumi che provoca. Gli psicologi adottano
delle forme di ludoterapia nelle scuole elementari; con i più grandi affrontano
il problema della aggressività e degli episodi di violenza in gruppi di
discussione. Ma, ad avviso degli stessi psicologi, gli Interventi non possono
essere solo terapeutici; dovrebbero essere in primo luogo preventivi, volti a
migliorare “ il clima scolastico”, intervenendo sull’ambiente fisico delle
scuole poco accogliente; e soprattutto sulle relazioni tra alunni e insegnanti
spesso inesistenti se non ostili, descritte come frustranti nelle interviste;
dichiara una counselor: “Devo fare finta di essere scema, entro [in
classe] e molti continuano [a farsi i fatti loro] come niente fosse”.
La
dispersione e in genere il disagio scolastico dipendono anche dalle relazioni
difficili tra scuola e famiglia, tra insegnanti e genitori. Come hanno
osservato alcuni insegnanti e, con particolare chiarezza, la coordinatrice dei
centri di psicologia scolastica arabo israeliani della Galilea, se le scuole
possono essere almeno parzialmente influenzate dalla cultura occidentale dello
Stato di Israele, le famiglie sono maggiormente legate alla religione e alla
cultura tradizionale. Relazioni difficili aggravate dalla alleanza dei genitori
con i figli che individua negli insegnanti “il comune nemico”; un fenomeno
diffuso anche in Italia che nelle scuole arabo israeliane assume particolare
drammaticità con gli insegnanti che, soprattutto se donne e nelle scuole
superiori, sono sovente vittime di aggressioni.
Consegue da
questa situazione una condizione generale di anomia. Secondo un direttore
scolastico, che esprime un sentimento condiviso, genitori e alunni “non sanno
cosa hanno di diritto e cosa di dovere, cosa è permesso e cosa è vietato”. Uno
stato di incertezza che si riflette anche nel comportamento degli insegnanti:
“alcuni ammettono in classe alunni con comportamenti a rischio, altri li
mettono fuori; alcuni si dedicano solo agli studenti con rendimento almeno
medio, trascurando gli altri”.
Anomia che
coinvolge in primo luogo i giovani arabo israeliani che, a partire dalla
prima adolescenza, si trovano al centro di un conflitto tra culture
diverse: sono attratti dalle nuove tecnologie informatiche o telematiche
che padroneggiano al contrario di molti insegnanti e della maggioranza dei
genitori, che spesso hanno un atteggiamento negativo verso i new media
ritenendoli strumento di una cultura altra e nemica. Questo aggrava le
difficoltà di comunicazione tra gli adulti e i giovani: “la generazione muta”
come alcuni testimoni privilegiati li hanno definiti nelle interviste. I
giovani sembrano quindi aspirare all’assimilazione alla società israeliana
“moderna e occidentale”. Nello stesso tempo gli stessi giovani, anche
scolarizzati, sono protagonisti di atti di ribellione spesso violenta,
individuali e di gruppo, contro lo Stato israeliano. Ribellione che può essere
una reazione al fallimento dei tentativi di assimilazione, ovvero di mobilità
sociale individuale (Tajfel, 1970; Tajfel et al. 1971); oltre che un tentativo
di affermare la propria identità generazionale in opposizione alla “generazione
sconfitta dei padri” (Veronese, Castiglioni and Said, 2011).
In questa
situazione sono emersi come rilevanti, sin dalla fase di pianificazione della
ricerca e poi nelle interviste con gli insegnanti, i problemi specifici delle
diagnosi di learning disabilities (LD) e di disturbi dell’attenzione e iper
motilità (ADHD).
Le diagnosi
di LD, che possono essere rilasciate dagli psicologi scolastici dopo un primo
screening affidato ai counselors, frequentemente sono richieste dagli
insegnanti, come alcuni degli insegnanti intervistati osservano, “per liberarsi
da un problema”, “dalla fatica di insegnare ad alunni con particolari
difficoltà”, in definitiva per “deresponsabilizzarsi”.
Si riscontra
una richiesta di diagnosi di LD anche da parte dei genitori interessati a
ottenere supporti e aiuti didattici e anche nel loro caso per
“deresponsabilizzarsi”.
Ad avviso
della coordinatrice dei centri di psicologia scolastica arabo israeliani della
Galilea, del direttore del Centro di Psicologia Scolastica di Iksal e anche di
alcuni direttori scolastici e degli stessi insegnanti, nelle scuole arabo
israeliane si pone un problema, oltre e più che di L.D., di “teaching
disabilities”, per la bassa motivazione e lo scarso livello di preparazione di
molti insegnanti. Vi sono, ad esempio, “insegnanti di arabo che non
padroneggiano l’arabo”, “insegnanti che non sanno scrivere”. Si aggiunga, come
è stato osservato, che Israele “non favorisce” la conoscenza dell’arabo, “come
facevano i francesi in Siria”. Politica “coloniale” spiegata dal fatto che la
lingua è la base della cultura e dell’identità nazionale.
Inoltre,
come osservano alcuni testimoni privilegiati, la L.D., o quella che viene
segnalata e diagnosticata come L.D., può dipendere dal fatto che viene
insegnata “una cultura esterna ed estranea”, dal momento che i programmi sono
“imposti dal Ministero dell’Istruzione del Governo israeliano, ovvero ebraico”.
Il problema
delle diagnosi di ADHD è maggiormente rilevante per le situazioni di disagio
psichico che segnala e per le conseguenze che tali diagnosi possono avere.
Le richieste
di diagnosi di ADHD sono particolarmente frequenti ed è forte la pressione per
ottenerle da parte degli insegnanti e dei genitori; solo una minoranza di
genitori si oppone a tali diagnosi (come a quelle di LD) temendo lo stigma
sociale e l’emarginazione.Alcuni giovani riconoscono di “avere un problema”
mentre altri pensano che tutto dipenda dagli insegnanti e dai genitori che “non
sanno come trattarli”. Tra gli insegnanti alcuni, in genere una minoranza, sono
contrari alla somministrazione di farmaci mentre altri adottano un tono
canzonatorio con gli studenti che li assumono: “ciao caro, oggi l’hai presa la
pillola?”
Gli
psicologi scolastici, dopo alcuni colloqui con il soggetto segnalato dagli
insegnanti, se lo ritengono necessario lo indirizzano al servizio psichiatrico
territoriale. Secondo quanto affermato concordemente dagli psicologi
scolastici, anche se il protocollo richiede più visite, molto spesso le
diagnosi di ADHD vengono “rilasciate solo dopo una sola visita con conseguente
prescrizione e somministrazione di Ritalin”. Gli effetti tranquillizzanti del
farmaco agiscono come una sorta di rinforzo: “ [i genitori e gli insegnanti]
vedono che con il Ritalin migliora, è più tranquillo, da meno fastidio e questo
porta a ulteriori richieste di Ritalin, confermandoli nell’idea che la diagnosi
[di ADHD] era utile se non necessaria e convincendo quelli che avevano qualche
perplessità”. Uno dei pochi psichiatri che siamo riusciti a intervistare
afferma di prescrivere il Ritalin “con un dosaggio efficace per 7-8 ore così che
il soggetto possa star bene sia a scuola che a casa”.
Gli
psicologi scolastici – con maggiore consapevolezza e modalità più sistematiche
in seguito alla ricerca azione condotta – cercano di filtrare e
contenere le richieste di diagnosi di ADHD [3], spiegando a insegnanti e genitori che le
cause di una irrequietezza che sembra eccessiva possono essere ambientali; come
le case sopra affollate, allo stesso modo delle aule, la mancanza nelle scuole,
e fuori dalle scuole, di strutture e spazi per l’attività sportiva o
semplicemente per il gioco, per correre nei momenti di intervallo; fanno anche
presente che negli ultimi anni si è diffuso, a partire dai preadolescenti,
l’uso incontrollato di bevande energetiche ed eccitanti. Contenimento
delle diagnosi, in particolare di ADHD, difficile, in quanto i genitori, a
partire dalle madri “stressate e isteriche”, si rivolgono privatamente a
psichiatri “generalmente propensi a emettere facili diagnosi di ADHD”.
Tuttavia,
gli psicologi nel corso della ricerca azione, riflettendo sulle loro pratiche e
discutendo tra loro, sono diventati sempre più critici e consapevoli dei rischi
delle diagnosi di LD e ADHD; a partire da un processo di stigmatizzazione che
può portare all’emarginazione e all’abbandono scolastico.
Come è stato
osservato in una discussione con gli psicologi scolastici sul problema dello
stigma: “una volta si diceva di un bambino «è un asino», ora invece si
dice «è affetto da LD»; suona più di élite, ma è una etichetta
persistente. Un asino può cambiare ed evolversi, chi ha avuto una diagnosi di
LD a scuola avrà di difficoltà a essere ammesso all’Università. Anche Einstein
avrebbe avuto una diagnosi di LD”.
Gli psicologi
inoltre osservano che gli insegnanti invece di ricevere una formazione
psicosociale che “forse sarebbe più utile”, a partire dalle maestre d’asilo
seguono corsi sui disturbi dell’apprendimento, dell’attenzione, sulle
dislessie,”così quando tornano in classe vedono dislessici ovunque”.
Più in
genere “si parla molto in giro di iper motilità, di disturbi dell’attenzione,
di Ritalin e questo spiega la richiesta insistente di diagnosi di ADHD”. I
corsi di formazione rivolti a medici di base e psicologi sui disturbi
dell’attenzione concorrono all’incremento delle diagnosi. Peraltro, come è
stato fatto presente, gli ispettori ministeriali se riscontrano che in una
scuola la percentuale delle diagnosi è inferiore alla media nazionale cercano
di indagarne i motivi ritenendo che queta anomalia possa essere dovuta a un
malfunzionamento.
Secondo
alcuni, in Israele, e in particolare nelle scuole arabo israeliane, sembra
essere in atto una “capillare psichiatrizzazione del territorio”; con il
sospetto implicito che tale psichiatrizzazione possa essere una forma di
controllo esercitato dallo Stato
Un problema
più grave, anche se si presenta con relativa minore frequenza, che coinvolge
anche le scuole è rappresentato dalle violenze sessuali sui minori, a partire
da quelli che frequentano le scuole materne.
I genitori,
prevalentemente le madri, se decidono di affrontare il problema si rivolgono ai
Centri di Psicologia Scolastica evitando la polizia o altre vie istituzionali.
La rilevanza
del problema è dimostrata dal fatto che lo Stato di Israele finanzia diversi
centri dedicati ad affrontarlo, dove operano equipe multi disciplinari e le
vittime minorenni di violenza sessuale possono essere curate gratuitamente. A
Nazareth opera in una moderna palazzina ben arredata il centro “al Karm” (in
Arabo = vigna).
3. Conclusioni
Tutto questo
rinvia alle contraddizioni che si evidenziano nelle scuole arabo israeliane, e
che sono rappresentative delle contraddizioni complessive che caratterizzano
Israele e la difficile convivenza tra ebrei e arabi. I rilevanti investimenti
statali, a partire dal 1948, hanno portato a un incremento esponenziale della
scolarizzazione della popolazione araba anche femminile che attualmente è alla
pari, se non superiore, a quella maschile (Said et al. 2020, p. 26 ss). Il
sistema scolastico anche arabo israeliano si può considerare per le sue
strutture più avanzato di quello italiano; con centri di psicologia scolastica,
uffici e funzionari che si occupano delle scuole in ogni municipalità e con la
presenza nelle scuole di figure professionali – come counselors,
educatori, insegnanti di sostegno – che affiancano gli insegnanti [4].
Se questo
sviluppo della scolarizzazione, e in primo luogo di quella femminile, è un
importante fattore di emancipazione della popolazione araba, permangono
discriminazioni e diseguaglianze. La dispersione scolastica continua a essere
più elevata nelle scuole arabo israeliane. Va considerata oltre che la
“dispersione manifesta” (abbandoni scolastici) quella che nella nostra ricerca
abbiamo definito “dispersione latente” – ovvero gli alunni “presenti assenti”,
come li hanno definiti nelle interviste gli insegnanti – più difficile da
individuare e da contrastare. Di conseguenza nelle scuole arabo israeliane i
livelli di rendimento sono più bassi.
La
contraddizione più rilevante riguarda la discriminazione culturale verso le
scuole arabo israeliane: i programmi anche di storia e letteratura sono decisi
dal Ministero e, come ha osservato la maggioranza degli insegnanti e dei
direttori scolastici intervistati, danno “poco spazio” alla storia e alla
letteratura araba, in genere “ignorano la cultura araba”. Gli stessi numerosi
programmi di intervento per il benessere scolastico. volti a ridurre il
disagio, copiosamente finanziati da fondazioni ebraiche statunitensi e dei
quali beneficiano anche le scuole arabo israeliane sono basati su teorie e
pratiche di concezione occidentale affatto estranee alla cultura araba. Inoltre
una direttiva ministeriale vieta che nelle scuole arabo israeliane sia
celebrata, o anche solo ricordata la Nakba (la Catastrofe), l’emigrazione
forzata di centinaia di migliaia di palestinesi nel 1948. Una politica
contraria alla integrazione tra culture diverse e favorevole alla rimozione
delle cause all’origine del conflitto.
Se qui ci si
riferisce alle scuole arabo israeliane, non vanno dimenticati gli ultimi degli
ultimi: i beduini, anche essi formalmente cittadini arabi dello Stato di
Israele, generalmente di fatto esclusi dal sistema scolastico pubblico,
marginali per i servizi sociali come i centri di psicologia scolastica;
forzosamente stanziali e inurbati in centri come Rahat, circa 50.000 abitanti,
sorto nel Neghev settentrionale, pare il centro urbano più violento di Israele.
Qui la scolarizzazione è interamente privata, affidata a un imprenditore
beduino con buone entrature al Ministero; dalle numerose scuole materne in
precarie condizioni igieniche, talora in prossimità di fogne a cielo aperto
alla scuola superiore professionale in un edificio che ha tutte le
caratteristiche di un carcere anche per gli episodi di violenza che si
verificano al suo interno.
Come il
sistema scolastico evidenzia, se i beduini sono semplicemente vittime
di discriminazione ed emarginazione, la generalità della popolazione arabo
israeliana vive una situazione contraddittoria: da una parte ha comunque
beneficiato dei notevoli investimenti statali nell’istruzione, dall’altro
continua a subire la discriminazione culturale che si manifesta nelle scuole
emblematicamente con l’imposizione dei programmi di studio, e con la
proibizione di affrontare il problema del conflitto, e della sua origine
perpetuandolo e aggravandolo.
Sono
facilmente prevedibili gli effetti di tutto questo sulla salute mentale, in
particolare degli adolescenti, e più in generale sulle possibilità di
integrazione in un sistema sociale moderno e avanzato come Israele ritiene di
essere ed effettivamente è per una parte della sua popolazione.
In questo
contesto, ovvero se queste sono le condizioni materiali di esistenza, le
psicoterapie di qualsiasi tipo possono essere solo delle cure palliative.
Riferimenti
bibliografici
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Trends in the high school dropout phenomenon”. Policy Paper. Jerusalem:
Taub Center for Social Policy Studies in Israel.
_______________________________________________
[1] Per l’analisi di questa ricerca azione – i presupposti teorici,
metodologici, lo sviluppo, i risultati – si rinvia a Colucci, Said, Dakduki
2018; Said, Dakduki, Colucci 2020.
[2] Per le problematiche relative alla dispersione scolastica nelle
scuole arabo Israeliane si rinvia Benavot e Resh 2003; Shoshana, 2020; Yanay,
G., H. Fuchs and N. Blass. 2019.
[3] Secondo quanto affermato in interviste individuali condotte nel
2019 su 10 richieste solo 2 o 3 portano a una diagnosi di ADHD.
[4] Il budget del ministero dell’Educazione è inferiore solo al budget
del Ministero della Difesa. Gli investimenti di Israele nell’istruzione
sono superiori alla media dei paesi OCSE. Nel 2015 (quattro anni dopo l’inizio
della ricerca e prima delle ultime rilevazioni) la spesa pubblica per
il sistema educativo in Israele era del 12,8% dell’intero bilancio statale, la
media dei paesi OCSE del 11,1%; in Italia del 7,2%.